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Questa è l'Italia che si ricorderà

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Domenica 20 Dicembre 2009

Il New York Times e il Sole 24 Ore a metà novembre hanno proposto il tema degli «anni doppio zero». Come ricordare il primo decennio del Duemila? Un tempo di occasioni mancate, di terrorismo globale, di guerre, della più grande crisi finanziaria dopo il 1929? La domanda è stata ora rivolta ad alcuni protagonisti della cultura italiana: quali eventi, fatti, opere di questi anni sono entrati nel vissuto degli italiani, nel loro modo di pensare e di relazionarsi? Forse le segnalazioni non possiamo ancora collocarle nei manuali di storia. Ma restano punti fermi in uno scenario imprevedibile e di profondi mutamenti che vedono protagonisti i popoli, come scrive Emanuele Severino rispondendo a una serie di quesiti che gli ha posto Il Sole 24 Ore Domenica.

OccidenteIl laicismo e Penelope Nel decennio che sta terminando è fortemente aumentata la pressione dei popoli poveri su quelli ricchi. Non si tratta solo di spostamenti di masse umane, determinati dal bisogno elementare di sopravvivere. Da sempre, infatti, l'uomo interpreta la propria sofferenza. Il modo in cui soffre nel corpo e nell'anima e tenta di uscirne dipende da ciò che egli crede di essere, dal modo in cui interpreta la propria vita. "Cultura" è innanzitutto questo credere. Per quanto ne sappiamo, in questo credere sono sin dall'inizio presenti gli déi. L'uomo crede di essere un vivente che è in pericolo e che sta in rapporto con misteriose potenze che lo possono aiutare o schiacciare. Il senso della "cultura" è legato a quello della "coltivazione"e del "culto". La pressione dei poveri sui ricchi è cioè un fenomeno eminentemente culturale.
Gran parte dell'immigrazione è islamica. Il culto dei poveri è diverso da quello cristiano in cui, almeno formalmente, i paesi ricchi si riconoscono. Dopo l'Unione Sovietica, è l'islam a essersi posto alla guida dell'interpretazione della sofferenza e della fame dei poveri. Ma in quest'ultimo decennio si è reso altrettanto visibile – sebbene non nelle forme drammatiche della protesta islamica contro l'Occidente – il rinnovato vigore della Chiesa cattolica. Si tratta di un fenomeno ambivalente, perché da un lato la Chiesa non può non vedere nell'islam un alleato contro l'ateismo della modernità, dall'altro non può non avvertire che l'islam è anche l'avversario dove la religiosità dei fedeli è molto più convinta di quella cristiana (non dice forse la Chiesa che "l'Europa è terra di missione"?), tanto da alimentare quel fondamentalismo che convince gli individui a immolare la propria vita per il trionfo della causa.
Dovremo rispondere, allora, che l'ambivalente tensione tra islam e cristianesimo è il fenomeno culturale che "più" determina la fisionomia di quest'ultimo decennio? Sarebbe una risposta fuori luogo. Se non altro, perché la modernità, contro cui cristianesimo e islam si trovano alleati, esiste. Certo, in questo decennio la grande cultura moderna – filosofica, scientifica, artistica – non è andata innanzi. Nel senso che, anche qui, la tecnica, che è impensabile senza la cultura moderna, per un verso stupisce sì il mondo, soprattutto nel campo delle bioingegnerie, ma per altro verso sta procedendo senza guardarsi le spalle, cioè senza sapersi difendere dalle critiche della tradizione occidentale, che la accusano di violare limiti inviolabili. Un gigante, la tecnica, che tocca il cielo, ma che rimane incapace di interloquire con chi gli dice che il cielo non va toccato.
Intendo dire che chi potrebbe rendere il gigante capace di parlare è la punta estrema della modernità, ossia quella essenza, prevalentemente nascosta, della filosofia del nostro tempo che è in grado di mostrare l'inesistenza di ogni inviolabile e che quindi il gigante è legittimato a toccare il cielo. E tuttavia quell'essenza è come l'arco di Ulisse, che nessuno dei Proci è in grado di tendere. Da un lato, in questo nostro decennio, la potenza cieca della tecnica; dall'altro lato, quegli sguardi impotenti del laicismo contemporaneo, che andando avanti così non riuscirà mai a possedere Penelope, cioè a dominare il mondo, lasciando ancora a lungo la scena alla coscienza religiosa.

Grandi opere
Il confronto Heidegger-Volpi
Difficile fermare momenti significativi in un arco di tempo così elevato come dieci anni, dal 2000 al 2009. Si rischia di dimenticarne di certo molti. Oppure si rischia di sopravvalutarne alcuni. Ma colgo la sfida, e l'occasione, per ricordare – attraverso un'opera – un uomo, un autore, un traduttore.
L'opera è Contributi alla filosofia di Martin Heidegger, pubblicata da Adelphi, nel 2007, a cura di Franco Volpi e Friedrich Wilhelm von Hermann, traduzione di Franco Volpi e Alessandra Iadicicco.
L'uomo, l'autore, il traduttore che voglio ricordare è, appunto, Franco Volpi.
Non mi soffermo, perché non è il mio ruolo, sul valore filosofico di questa opera, sulla sua collocazione nell'evoluzione del pensiero di Martin Heidegger e neppure sulle questioni sorte all'indomani della pubblicazione della suddetta edizione italiana.
  CONTINUA ...»

Domenica 20 Dicembre 2009
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